Cass. Civ., Sez. III, Ord. 01/06/2023, N. 15529

Ai fini della surroga ex art. 1916 c.c., l’assicuratore può adempiere all’onere di provare la sua qualità di assicuratore ed il danno risarcito con la produzione della quietanza, se essa contiene la prova del contratto d’assicurazione e l’individuazione del danno risarcito. Tuttavia, quale prova del fatto materiale della ricezione del pagamento da parte dell’assicurato, la quietanza resta una scrittura proveniente da un terzo estraneo alla lite, per cui non può avere l’efficacia di prova piena in ordine ai fatti da essa attestati che ordinariamente le si attribuisce nei confronti della parte che l’ha sottoscritta. A confermarlo è la Cassazione con ordinanza dell’1 giugno 2023, n. 15529.

Il testo del provvedimento è riportato di seguito.

 

Intestazione
[…]
Svolgimento del processo

AXA Assicurazioni Spa convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Roma A.A. chiedendo la condanna al pagamento della somma di Euro 41.500,00 oltre accessori. Espose l’attrice che la somma pretesa era stata corrisposta a B.B., a titolo di indennizzo per il furto dell’auto, dopo che quest’ultima era stata depositata presso l’officina del convenuto e che questi aveva opposto di essere stato vittima di una rapina per la quale era intervenuto decreto di archiviazione essendo rimasto ignoto l’autore del reato. Il Tribunale adito rigettò la domanda. Premise il Tribunale che, dovendosi applicare l’art. 1780 c.c., il A.A. era “responsabile ex recepto, indipendentemente dall’accertamento di una specifica colpa per non aver provato ex art. 1218 c.c. che l’inadempimento dell’obbligo di riconsegna dell’autovettura è derivato da “causa a lui non imputabile””. Osservò quindi che, sulla base della sola produzione dell’atto di transazione e quietanza, l’attrice non aveva assolto il proprio onere probatorio. Avverso detta sentenza propose appello la società assicuratrice. Con sentenza di data 22 gennaio 2020 la Corte d’appello di Roma accolse l’appello, condannando A.A. al pagamento della somma di Euro 41.500,00 oltre interessi.Osservò la corte territoriale, richiamando il principio di diritto secondo cui ai fini della surroga ai sensi dell’art. 1916 c.c. l’assicuratore poteva adempiere all’onere di provare la sua qualità di assicuratore ed il danno risarcito con la produzione della quietanza se contenente la prova del contratto e l’individuazione del danno risarcito, che ai fini degli elementi costitutivi della surroga era sufficiente che la quietanza di pagamento contenesse tutti gli elementi necessari per imputare il pagamento ivi rappresentato al furto della vettura in custodia presso il depositario ed assicurata presso la compagnia che aveva erogato il rimborso, con l’indicazione anche degli estremi del contratto. Aggiunse che tali elementi erano tutti presenti nella quietanza firmata dallo B.B. in data 8 marzo 2010 e che il convenuto non aveva sollevato alcuna contestazione su di essi o sulla congruità dell’indennizzo, avendo riservato la comparsa alla confutazione delle ragioni a fondamento della domanda ai sensi dell’art. 1780 c.c. e non potendosi ritenere contestazione specifica la frase “si costituisce…per contestare tutto quanto ex adverso dedotto…”. Osservò infine che non era stato oggetto di appello incidentale il punto di motivazione che aveva stabilito la responsabilità ai sensi dell’art. 1780 per non essere stata offerta la prova liberatoria circa la non imputabilità della perdita del bene custodito.Ha proposto ricorso per cassazione A.A. sulla base di tre motivi e resiste con controricorso la parte intimata. E’ stato fissato il ricorso in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c..Non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero presso la Corte.

Motivi della decisione

con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1916 e 2697 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la parte ricorrente che, non potendo il A.A. sapere se AXA avesse pagato l’indennizzo, in quanto soggetto estraneo alla transazione intercorsa fra assicuratore e assicurato danneggiato, egli non poteva che contestare il pagamento, facendo insorgere l’onere per la controparte di provare il pagamento dell’indennizzo, e che nessuna prova del pagamento è stata depositata, non potendo tale prova essere costituita dall’atto di transazione, nel quale vi è solo la dichiarazione di avere convenuto l’importo di Euro 41.500,00, ma non l’attestazione di avvenuto pagamento che potrebbe anche non esserci stato per fatti sopravvenuti. Aggiunge che in presenza della sollevata contestazione era onere della controparte provare l’avvenuto pagamento.Il motivo è fondato. La corte territoriale ha assunto come incontroversa la circostanza del pagamento eseguito dall’assicuratore che l’appellato non avrebbe specificatamente contestato. L’onere di contestazione, la cui inosservanza rende il fatto pacifico e non bisognoso di prova, sussiste tuttavia soltanto per i fatti noti alla parte convenuta, non anche per quelli ad essa ignoti (Cass. 31 agosto 2020, n. 18074; 4 gennaio 2019, n. 87; 18 luglio 2016, n. 14652; 13 febbraio 2013, n. 3576). Perchè si compia l’effetto di cui all’art. 115 c.p.c., comma 1, è pertanto necessario che risulti, o possa ragionevolmente risultare, la conoscenza da parte del convenuto del fatto allegato dall’attore. Manca un giudizio di fatto del giudice del merito da cui desumere che il terzo potesse avere conoscenza non solo del rapporto assicurativo, ma anche dell’esecuzione della prestazione da parte dell’assicuratore. L’eventuale non contestazione da parte del convenuto, ove sussistente, è dunque improduttiva dell’effetto della sottrazione al thema probandum dei fatti allegati dall’attore, i quali restano così da provare.In mancanza di specifica denuncia di vizio motivazionale, deve essere nella presente sede di legittimità tenuto fermo il giudizio di fatto del giudice del merito secondo cui il documento prodotto dalla società assicurativa rappresentava la circostanza dell’avvenuto pagamento. Attestando la ricezione del pagamento, corretta è dunque la qualificazione del documento in termini di quietanza. La censura va però a questo punto riqualificata come violazione dell’art. 2702 c.c..E’ pur vero che ai fini della surroga ex art. 1916 c.c., l’assicuratore può adempiere all’onere di provare la sua qualità di assicuratore ed il danno risarcito con la produzione della quietanza, se essa contiene la prova del contratto d’assicurazione e l’individuazione del danno risarcito (Cass. n. 20901 del 2013n. 919 del 1999). Tuttavia, quale prova del fatto materiale della ricezione del pagamento da parte dell’assicurato, la quietanza resta una scrittura proveniente da un terzo estraneo alla lite, per cui non può avere l’efficacia di prova piena in ordine ai fatti da essa attestati che ordinariamente le si attribuisce nei confronti della parte che l’ha sottoscritta. Come affermato dalla giurisprudenza proprio in relazione ad ipotesi di quietanza, la scrittura proveniente da un terzo estraneo alla lite può contribuire a fondare il convincimento del giudice solo unitamente ad altre circostanze che ne confortino l’attendibilità (Cass. n. 23788 del 2014; n. 3921 del 1978; n. 1580 del 1977). Il giudice del merito ha ritenuto provata la circostanza dell’avvenuto pagamento sulla base della mera quietanza rilasciata dal terzo, valutando così quest’ultima non quale prova atipica di portata indiziaria e da valutare quindi unitamente ad altre risultanze processuali, ma quale prova autosufficiente ai fini della dimostrazione del fatto del pagamento. Dovrà invece il giudice del merito, ai fini del giudizio di fatto in ordine alla ricezione del pagamento da parte dell’assicurato, valutare la quietanza come indizio unitamente alle altre circostanze risultanti dagli atti, se del caso facendo riferimento anche alle altre circostanze emergenti dal documento contenente la quietanza.Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli art. 1780 c.c., artt. 112346, 343 e 116 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e n. 4. Osserva la parte ricorrente che l’appellato, contrariamente a quanto affermato dalla Corte d’appello, non aveva l’onere di proporre appello incidentale, ma semplicemente di riproporre l’eccezione, come in effetti è stato fatto, a proposito del fatto non imputabile al depositario di cui all’art. 1780, non avendo il giudice di primo grado statuito sull’eccezione, ma avendola assorbita, poichè per un verso il richiamo alla responsabilità ex recepto mirava solo ad identificare il legittimato passivo, per l’altro, come si legge nella motivazione del Tribunale, la domanda è stata rigettata “per l’assorbente rilievo del difetto di prova”.Il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., n. 2. Ha eccepito la controricorrente che l’appellato, già dichiarato contumace, si è costituito nel giudizio di appello il giorno prima dell’udienza fissata per la precisazione delle conclusioni e pertanto tardivamente ai fini della riproposizione della eccezione ai sensi dell’art. 346 c.p.c..Nel processo ordinario di cognizione risultante dalla novella di cui alla l. n. 353 del 1990 e dalle successive modifiche, le parti del processo di impugnazione, nel rispetto dell’autoresponsabilità e dell’affidamento processuale, sono tenute, per sottrarsi alla presunzione di rinuncia (al di fuori delle ipotesi di domande e di eccezioni esaminate e rigettate, anche implicitamente, dal primo giudice, per le quali è necessario proporre appello incidentale ex art. 343 c.p.c.), a riproporre ai sensi dell’art. 346 c.p.c. le domande e le eccezioni non accolte in primo grado, in quanto rimaste assorbite, con il primo atto difensivo e comunque non oltre la prima udienza, trattandosi di fatti rientranti già nel “thema probandum” e nel “thema decidendum” del giudizio di primo grado (Cass. Sez. U. n. 7940 del 2019).Come risulta dai documenti dalle parti allegati ai rispettivi atti, cui il Collegio può accedere ai fini della decisione in ragione della natura processuale della violazione denunciata, all’udienza del 23 maggio 2017 fu dichiarata la contumacia dell’appellato con rinvio per la precisazione delle conclusioni all’udienza del 26 marzo 2019 (documento nel fascicolo della controricorrente), mentre la comparsa di costituzione in appello reca la data del 25 marzo 2019 (documento nel fascicolo del ricorrente). La parte appellata era dunque incorsa nella decadenza dalla facoltà di riproporre l’eccezione ai sensi dell’art. 346.La censura concernente la violazione dei “principi regolatori del giusto processo” e cioè delle regole processuali ex art. 360 c.p.c., n. 4, deve avere carattere decisivo, cioè incidente sul contenuto della decisione e, dunque, arrecante un effettivo pregiudizio a chi la denuncia (Cass. n. 16102 del 2016n. 26087 del 2019). Alla luce della incorsa decadenza la violazione processuale denunciata dal motivo in esame è priva di effettivo pregiudizio per il ricorrente.Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 91183 c.p.c., D.M. n. 55 del 2014art. 4 ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la parte ricorrente che il giudice di appello erroneamente nella liquidazione delle spese non ha espunto il compenso relativo alla fase istruttoria, non essendovi stata la detta fase sia in primo che in secondo grado e non avendo la società assicuratrice neanche redatto le memorie di cui all’art. 186 c.p.c.L’accoglimento del primo motivo determina l’assorbimento del motivo.

P.Q.M.

accoglie il primo motivo del ricorso, dichiarando inammissibile il secondo e assorbito il terzo; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto; rinvia ad altra Sezione della Corte di appello di Roma in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.